Mi chiamo Gaetano Costa e sono nato a Palermo il 1°marzo 1916.
Mi sono laureato nella Facoltà di Giurisprudenza di Palermo.
Dopo che ho vinto il concorso di magistratura sono stato arruolato come ufficiale nell'aviazione e l'8 settembre ho raggiunto la Val di Susa e mi sono unito ai partigiani.
All'inizio degli anni quaranta sono entrato in Magistratura, inizialmente presso il Tribunale di Roma; successivamente, su mia richiesta, mi sono trasferito alla Procura della Repubblica di Caltanissetta dove sono rimasto dal 1944 al 1978.
In questa procura ho svolto la maggior parte della mia attività da magistrato dando manifestazioni di indipendenza ed equilibrio. Nonostante sia stato freddo e distaccato, penso di aver donato attenzione nei confronti dei soggetti più deboli.
Sin dagli anni sessanta ho intuito che la mafia aveva subito una radicale mutazione e che si era annidata nei gangli vitali della pubblica amministrazione, controllando gli appalti e le assunzioni.
Inutilmente, all'epoca, ho richiamato l'attenzione delle massime autorità sul fatto che un'efficace lotta alla mafia imponeva la predisposizione di strumenti legislativi che avrebbero consentito di indagare sui patrimoni dei presunti mafiosi e di colpirli.
Nel gennaio del 1978 sono stato nominato Procuratore capo di Palermo ma la reazione dei miei coetanei fu negativa, tanto da far ritardare la mia immissione fino al luglio di quell'anno.
Nel breve periodo in cui ho gestito la Procura di Palermo, ho avviato una serie di delicatissime indagini nell'ambito delle quali, sia pure con i limitati mezzi che avevo a disposizione, ho tentato di penetrare i santuari patrimoniali della mafia.
Per questo sono stato assassinato il 6 agosto del 1980. Infatti, verso sera, stavo passeggiando da solo a due passi da casa mia e sei colpi di pistola oltrepassarono il mio corpo, sono rimasto accasciato sul marciapiede fino a morire dissanguato. Pensare che qualche minuto prima stavo sfogliando dei libri su una bancarella.
Sono stato l'unico magistrato di Palermo (del tempo) al quale è stata assegnata un'auto blindata e una scorta, ma non ne ho usufruito. Infatti ho ritenuto che la mia protezione avrebbe potuto mettere in pericolo gli altri. Avevo il dovere di avere coraggio.
Nessuno è stato condannato per la mia morte ma il mio impegno è stato continuato da Rocco Chinnici, uno dei pochi che mi aveva capito.
Nessun commento:
Posta un commento